Per caso, alla ricerca di qualcosa di inconsueto da condividere con gli slowtraveller mi imbatto, nuovamente, in un’esploratrice che, guarda caso, elogia la solitudine per affrontare i viaggi. E’ presto fatto il collegamento al titolo del precedente articolo “Alexandra David Neel: viaggiare da sola…”
Sembra quasi voluto, ma davvero mi sorprende questa idealizzazione della solitudine per dare valore e senso ai nostri viaggi.
In un primo momento mi appariva come se Freya Madeline Stark fosse un “clone” della David Neel ma, quanto più approfondivo la conoscenza virtuale di questa viaggiatrice, tanto più mi accorgevo che il modo di vivere in solitaria il viaggio è, sostanzialmente, diverso…
Freya Stark, viaggiatrice, esploratrice e scrittrice inglese, nasce a Parigi il 31 gennaio 1893 e trascorre la propria infanzia e giovinezza ad Asolo, nella bella marca trevigiana.
Papà Robert, scultore e pittore inglese originario di Dartmoor, nel Devon, e mamma Flora, musicista e pittrice italiana con origini polacche-tedesche, appartenevano alla piccola nobiltà inglese del tempo che trovò in Asolo (TV) – già nell’Ottocento la cittadina ospitava una comunità di nobili ed illustri personaggi inglesi tra cui il letterato e fotografo Herbert Young e Pen Browning figlio del poeta Robert – la località adatta alle loro esigenze e a quelle delle loro bambine, Vera e Freya, quest’ultima pure cagionevole di salute, oltreché deturpata nel fisico in quanto priva di parte dell’orecchio, della palpebra destra e di parte del cuoio capelluto a causa di un incidente occorsole in età adolescenziale, nella manifattura di tessuti di gestione materna che nasconderà, dopo l’adolescenza, con accorgimenti, parrucche e cappellini Dior.
Freya trascorre per lo più in casa le sue giornate, accompagnata dalla letture di fiabe e da un’istruzione caratterizzata dallo studio delle lingue: latino, francese, inglese, italiano e tedesco; i suoi studi proseguirono nel 1911 al Bedford College di Londra – rivolto all’istruzione superiore femminile, sezione dell’Università di Londra –
ed alla vicina Scuola di studi orientali e africani.
Saranno le lingue la sua chiave di volta per raggiungere quel mondo lontano – non solo in termini di spazio ma anche in termini di “genere” – contemplato nelle letture della fanciullezza: tra tutte Le mille e una notte (dall’arabo “Alf laila wa laila”, celebre raccolta anonima di novelle in lingua araba, di origini indo-persiane, portata a conoscenza, in Europa tra il 1704 ed il 1708 grazie alla traduzione francese del viaggiatore ed orientalista Antoine Galland, (Rollot 1646 – Parigi 1715), libro ricevuto in dono per il suo nono compleanno.
Personalità e magnetismo saranno le peculiarità del suo brillante carattere, ma anche la sua capacità di adattamento a condizioni “estreme” certamente non abituali per l’epoca, soprattutto per il gentil sesso.
Infermiera per la Croce Rossa inglese inviata sul Carso durante la Grande Guerra, trascorse molti anni viaggiando, soprattutto in Medio Oriente, raggiunto per la prima volta a 35 anni; allo scoppio del secondo conflitto mondiale, in servizio presso il Ministero dell’Informazione inglese, venne mandata in missione in Yemen, Aden ed in Egitto dove si impegnò per la creazione di un movimento democratico antifascista di propaganda clandestina, denominato “Fratellanza per la libertà” ; tra il 1927 ed il 1939 si recherà in Libano Siria, Iraq e Persia: da Baghdad fin nell’arretrato Lorestan (dal persiano Luristā´n, regione dell’Iran sud-orientale)
nella regione del Pošt-E Kuh (attuale provincia iraniana dell’Ilām); viaggi dai quali scaturiranno libri come “Baghdad sketches” (1932) e “Thesouthern fates of Arabia” (1936) solo per citarne alcuni.
Il 1931, anno dedicato all’esplorazione profonda dell’Iran, localizzerà con precisione cartografica, la valle degli Assassini, narrata in “The valleys of the assassins” (1934) e la fortezza di Alamut.
Poi è la volta dell’Arabia meridionale. E’ qui che arriverà a padroneggiare l’arabo ed il persiano che le consentiranno di analizzare con precisione le mappe geografiche dell’area: rettifica e corregge la relativa toponomastica e migliora la definizione territoriale delle regioni, allora poco conosciute.
Il luogo comune delle donne che non sanno leggere e disegnare carte geografiche e topografiche forse, all’epoca, non si era ancora affermata.
Nel 1933 le venne conferito, dalla “virile” Royal Geographical Society, il Back Memorial Prize (dal nome dell’esploratore artico, naturalista e ammiraglio George Back, Stockport, 6 novembre 1796 – Londra, 23 giugno 1878) per gli studi ed i contributi cartografici conseguiti nelle citate zone, in particolare in Lorestan. A questo riconoscimento fecero seguito collaborazioni significative con il governo britannico, la BBC e la Royal Asia Society.
Non teme ciò che non conosce; i viaggi rappresentano piacere e divertimento grazie all’incontro con “il meglio della natura umana visto che non esistono stranieri ma solo sconosciuti”.
Non teme neanche le chiacchiere dell’epoca circa l’assioma allora dominante – forse tutt’ora vigente: donna-moglie-mamma.
Dinanzi a questo modo di pensare, la colta Stark adotta il metodo del fingersi sciocca perché “se fingi di essere più stupida nessuno si stupisce” dinanzi a situazioni “diverse”.
Si sposa, difatti, solo nel 1947 all’età di 54 anni con il suo discepolo e amico Stewart Perowne, diplomatico e storico dal quale si separò nel 1952, senza mai divorziare. Non ebbe figli, solo figliocci sparsi nel mondo, tra cui Malise Ruthven (accademico e scrittore irlandese) che la tributò in Traveler Through Time: A Photographic Journey With Freya Stark, pubblicato nel 1986 nel quale ritraeva la Stark sempre alla ricerca dello spirito autentico dei luoghi visitati.
Quando affronta un viaggio preferisce farlo in solitudine o, al più, soprattutto per il Medio Oriente, si fa affiancare da guide locali, perché:
“per viaggiare bisogna essere soli: se si va con qualcun altro tutto finisce in chiacchiere. Dobbiamo essere forti ed aver fiducia nelle sorprese della vita”.
Solitudine che valuta come un tesoro:
“La solitudine, riflettei, è un profonda esigenza dello spirito umano alla quale in nostri codici non danno adeguato riconoscimento. E’ considerata una disciplina o una punizione, e quasi mai quel che è veramente, cioè un elemento indispensabile e gradevole della vita quotidiana. […]; da qui anche l’idea malata che si debba sempre fare qualcosa, come se non si potesse mai stare tranquilli mentre lo spettacolo dei burattini si svolge davanti ai nostri occhi; da qui l’incapacità di perdersi nel mistero e nelle meraviglia mentre, come un onda che ci solleva verso nuovi mari, la storia del mondo si sviluppa intorno a noi.”.
Nella Stark, l’uso della forma epistolare, genere usualmente adottato nella scrittura di viaggio al femminile, si propone in una composizione libera e informale -quasi una precorritrice degli odierni blogger- che consente di narrare i luoghi che visita in maniera diretta e solo formalmente semplice riuscendo invece a cogliere lo “the spirit of place” inglese, con la descrizione di incontri casuali ed episodi solo apparentemente insignificanti.
I suoi scritti e reportage hanno avuto fortuna in Europa, meno in Italia…Alcuni di questi racconti vennero ripubblicati da Longanesi: nel 1983 “La valle degli assassini“ e, nel 1986, “Le porte dell’Arabia”; nel XXI secolo, invece, è l’editore Guanda che ripubblica gli stessi testi, rispettivamente nel 2002, con prefazione di Alberto Moravia e nel 2003, avventuroso viaggio in solitaria, dal porto di Aden fino ad Hadramaut sulle tracce delle c.d. ‘vie dell’incenso’ e degli imperi mineo, sabeo, imiarita – scomparsi – che le consente di “entrare in autentico contatto con un paese diverso e la sua gente”.
Sempre Guanda Editore pubblica, nel 2004, “Effendi” per la collana “Biblioteca della Fenice. I viaggi”: resoconto che la Stark redige in qualità di inviata nel 1939, dell’allora Ministero dell’informazione della Corona Britannica, per una missione quadriennale in Medio Oriente (tra Arabia, Egitto, Palestina, Siria, Iran ed Iraq), durante il secondo conflitto mondiale: il titolo italiano, “Effendi”, evidenzia l’importanza assunta dalla figura del giovane funzionario-professionista arabo che si modella secondo gli influssi dell’Occidente con il fine di costituire una sorta di ponte fra i due mondi.
Nel 2014, l’Editore La Vita Felice, pubblica “Lettere dalla Siria”: un viaggio nella quotidianità siriana della durata di due anni – dal 1927 al 1929 – che origina dallo spostamento in nave da Venezia per giungere a Beirut. Poi Brumana, Damasco, Baalbek ed infine la Palestina durante la rivolta dei drusi contro il mandato francese in Medio Oriente; una Siria divisa e frammentata in cui si scontrano odi, sette e religioni per intendere ed attestare l’identità mediorientale tra chi protende verso l’affermazione di un progresso “occidentale” e chi si ostina al mantenimento di un inconvertibile status quo; identità rappresentate nelle descrizioni di due città: Beirut, “dolente città francese”, che rincorre “la penultima moda parigina”, appesantita dal grigiore di un conflitto identitario irrisolto; Damasco, città “gialla come un opale” dall’atmosfera “sottile” che trasforma la luce nella “regina dei colori”, attraversata dal Barada
fiume che ha il corso di “una freccia luminosa”, utilizzando la medesima descrizione del poeta inglese Geoffrey Chaucer nel suo quattrocentesco poema “Troilo e Criselide” per il fiume Simoenta, indicato da Omero.
Nelle giornate vissute in compagnia della popolazione araba impara ad intendere la vita come chi sa benissimo di poter perdere in un attimo tutto ciò che possiede: “La vita qui ha il fascino di essere legata a uno sforzo personale di volontà, ed è dolce che non le venga attribuito un valore troppo grande”.
Stark affronta con gioia ciò che non conosce e negli sconosciuti come un’irripetibile occasione di apprendimento: “Sentire e pensare e imparare; imparare sempre, questo soltanto significa essere vivi”... “Forse la gioia della scoperta non risiede in quello che ci risulta strano, quanto piuttosto nell’improvvisa consapevolezza che siamo a casa in un nuovo orizzonte, (…) che il nostro cuore o il cervello, viaggiatori esperti ma smemorati, riconoscono con gioia”.
Purtroppo una parte consistente del materiale prodotto dalla Stark è tutt’ora inedito e questo mi fa sorgere una considerazione riguardo alla caducità dei libri e delle guide di viaggio che, inevitabilmente, soffrono dei cambiamenti dei luoghi che descrivono.
Nel 1953 venne insignita della Croce dell’Impero Britannico e nel 1972 venne nominata Dama dell’Ordine dell’Impero Britannico (DBE – Dame Commander of the Order of the British Empire), ordine fondato dal re Giorgio V nel 1917 per onorare le centinaia di persone che avevano svolto, durante la prima guerra mondiale, un servizio di tipo non militare. Dopo un primo periodo, in cui venne considerato di dignità inferiore rispetto agli ordini più antichi, dalla metà degli anni cinquanta venne utilizzato per premiare coloro che si erano distinti dando prestigio al Regno Unito e al Commonwealth in ambito artistico, culturale, sportivo, economico, scientifico ed educativo.
Prima di ritirarsi definitivamente ad Asolo – che le fece dono della cittadinanza onoraria e delle chiavi della città – compì ormai ad 88 anni, un’ultima spedizione in Nepal.
Muore il 9 maggio 1993, forse guidata anche in questo viaggio dalla “sola cosa invincibile in natura: la curiosità” e lasciando i suoi scritti ed i suoi studi a chi vuole emozionarsi dinanzi al mondo.
Le sue spoglie sono custodite nel cimitero di Sant’Anna di Asolo, assieme a quelle dell’amico fotografo e pittore Herbert Young Hammerton, che, oltre a cederle la nuda proprietà della villa che porta il nome della saggista, ne realizzò l’orto botanico ricco delle svariate specie floristiche riportate dai viaggi in Medio Oriente.
Oltre ai suoi numerosi libri e taccuini, ci ha lasciato grandi bauli pieni di album fotografici, e svariate memorabilia orientali, tappeti, arazzi, ceramiche, terrecotte, una biblioteca ben fornita, con molte prime edizioni di opere rare e introvabili e una corrispondenza, classificata, con politici e scrittori che abbracciava più di mezzo secolo, solo in parte rinvenibili nel Museo Civico Comunale di Asolo.
E’ stato bello incrociare questa slowtraveller ante litteram che sembra aver fatto suoi i punti del decalogo slowtravel, e che ne ha prodotto una sintesi intelligentissima nei suoi taccuini ad uso e consumo di altri esploratori più o meno noti, più o meno moderni (noi inclusi).
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